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mercoledì 19 dicembre 2012

RINASCITA


Questo brano è anch'esso tratto dal libro del mio cuore e forse ad ispirarlo è il tempo di Avvento che parla proprio di nascita.

Ognuno di noi nel corso della propria vita si trova a dover affrontare umori bizzarri, sentieri in discesa, irte arrampicate, tempi di siccità o allagamenti; cuori che si incendiano, ere glaciali, solitudini o eccessivi affollamenti.
Amici, nemici, amanti, addii, ritorni e rimpianti; arroganze imposte e subìte, presunzioni varie così come innumerevoli tentennamenti.

Per ognuna di queste storie e di queste vite ci sono soddisfazioni e moniti, traguardi e rovinose, umilianti cadute.
La vita, capita che ci bastoni pesantemente.

Vi racconto una vicenda che è capitata a un mio amico : è una storia monumentale.


Lui, brillante di animo, intraprendente, determinato, laureato a tempo di record e carriera professionale altrettanto interessante. Ottimi incassi e frequentazioni. Generoso e di animo sincero a volte cerca la via più comoda per la riuscita dei propri intenti ma comunque è fanciullo di cuore quanto basta ed è capace ancora di commuoversi e stupirsi.

C'è un "MA": è molto forte in lui il desiderio, quasi la pretesa, che gli vengano riconosciuti i suoi meriti e le sue fatiche; se ti lasci condurre ti apre il suo universo, ma devi sottometterti.

Un giorno incontra una ragazzotta di provincia rozza e ignorantotta, smaccatamente in cerca di sistemazione, sposata incinta con uno che lei definisce già vecchio, un amico del padre. Il matrimonio non tiene e lei, con un bimbo in fasce punta il nostro uomo -più giovane del marito- e meglio sistemato.
Il 'nostro' vede il lei il tipo ideale:  una che potenzialmente gli dovrà tutto. Così l'ego di lui è foraggiato.
La coppia campa per quattro lustri.

A lei la bella vita piace e fa di tutto per farsi ben volere, almeno in facciata, e lui, il nostro amico e marito di lei, sembra sinceramente innamorato di questa signora che dice sempre sì, sorride, indossa le perle e sorride appena.
Ma ecco il colpo di scena: a un certo punto lei si monta la testa e cede alle lusinghe di un briccone affamato di potere e sesso che coglie la profonda ignoranza e supericialità di lei.
Cosìcchè, dimentica delle pezze di cui erano fatte le sue mutande, lei alza la cresta, si illude, si confonde e diventa sincera... nel senso che lascia cadere l'illibata maschera e cede al briccone; lascia figli e marito e tutto quello che lui le ha messo a disposizione per scappare con lo squinternato con le stesse velleità e vanità.

Un tragedia immane.

Il nostro amico ne esce distrutto. Degli adulteri non ci importa un fico secco.



Questa è l'occasione per rinascere.

...Glielo auguro di cuore anche perchè è intelligente e sinceramente generoso. Non è il mio tipo, ma gli voglio molto bene.

PS vi assicuro che non ho inventato una virgola: é una storia vera
e mi piace ,pur essendo disgraziata, perchè racconta la vita vera e la possibilità autentica di ricominciare, di rinascere, migliorare e capire che le persone faticano a sottomettersi, soprattutto se sanno di essere in debito e che per questo motivo è probabilmente meglio accompagnarsi con soci dalla personalità autonoma e critica, anche se questa non porta lusinghe..


...In fondo è una storia a lieto fine.





martedì 18 dicembre 2012

Degas










BUON NATALE!


Nel paradiso degli animali l'anima del somarello chiese all'anima del bue:
- Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia...?
- Lasciami pensare... Ma sì - rispose il bue. - Nella mangiatoia, se ben ricordo, c'era un bambino appena nato.
- Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?
- Eh no, figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
- Millenovecentosettanta, esattamente.
- Accidenti!
- E a proposito, lo sai chi era quel bambino?
- Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino.
L'asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
- Ma no! - fece costui - Sul serio? Vorrai scherzare spero.
- La verità. Lo giuro. Del resto io l'avevo capito subito...
- Io no - confessò il bue - Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un fantolino straordinario.
- Bene, da allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l'anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo dell'animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un'idea. Già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un'occhiata?
- Dove?
- Giù sulla terra, no!
- Ci sei già stato?
- Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare dare anche tu. Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due.
- Per via di aver scaldato il bimbo col fiato?
- Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
- E il lasciapassare per me?
- Ho un cugino all'ufficio passaporti.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi disincarnati. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume; vi puntarono sopra. Il lume era una grandissima città. Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro. Trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i muri come se fossero fatti d'aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava e usciva, tutti carichi di pacchi e pacchetti, con un'espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti. Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
- Senti, amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato. Qui stanno facendo la guerra.
- Ma non vedi come sono tutti contenti?
- Contenti? A me sembrano dei pazzi.
- Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatine e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l'asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e cartoncini colorati, alla sua destra una pila di cartoncini bianchi. Con l'evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La sciagurata ansimava.
- La pagheranno, bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile.
- Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società.
- E allora perché si sta massacrando così?
- Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
- Auguri? E a che cosa servono?
- Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un'altra finestra. Anche qui, gente che, trafelava, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all'altra portando spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi, altri scatole altri fiori altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una terribile fatica. Dappertutto lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e impaccare spedire e ricevere imballare e sballare chiamare e rispondere e tutti correvano tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
- Mi avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità, della pace.
- Già - rispose l'asinello. - Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi... Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali.
Il bue tese le orecchie.
Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città.
- Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al prossimo?
L'asinello tacque.
- E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino. - Ho ormai la testa che è un pallone... Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?
- No, no. È semplicemente Natale.
- Ce n'è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c'era una pace, una soddisfazione. Come era diverso.
- E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena.
- E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano.
- Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano.
- E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora. Le stelle hanno una vita lunga.
- Ho idea di no - disse l'asino - c'è poca aria di stelle, qui. Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c'era un soffitto di caligine e di smog.


Dino Buzzati


domenica 9 dicembre 2012

LE LUCINE


Troppo di frequente accolgo lamentele sulla "freddezza del Natale", sul "consumismo che uccide il Natale" e tiritere di questo tipo come se il tempo di Avvento, l'attesa per definizione per i cristiani, dipendesse dalle luci e dagli spot, dalla quantità di merce offerta e dalla possibilità economica e da una classe politica meno inconsistente.
Faccio fatica ad immaginare una comunità cristiana felice di venir illuminata dai led appesi sugli abeti nelle piazze;
stento a credere a una comunità di persone che si riscalda e galvanizza  allo scaldare delle luci;
non riesco priprio a immaginare persone prorporzionalmente felici all'aumentare del potere di acquisto.

Forse, se parlassimo meno di cose e di colpe altrui e guardassimo più dentro i nostri cuori alla ricerca di un intimo silenzio, sono sicura avremmo più possibilità di "sentire" il tempo dell'Avvento come nessuno spot di panettone riuscrebbe a inventarsi.

venerdì 7 dicembre 2012

SULLA FIDUCIA


Da una corrispondenza con un'amica


"...ti scrivo sulla fiducia, argomento da te sfiorato in risposta alla tua lettera.

Tocchi un tasto dal cuore enormemente capiente , estremamente interessante ed emotivamente potenzialmente esplosivo.

Per rispondere alla tua domanda, mi sono chiesta per prima cosa quale sia il significato ‘tecnico’ della parola ‘fiducia’ (e qui ognuno può attingere al suo vocabolario) e poi ciò che questto significato evoca in me.

La fiducia è il mio carburante.

Io ho fiducia nella vita così come si dispiega, sorprendente e misteriosa; ho fiducia nelle persone che incontro sul mio cammino: mi fido del fatto che possano condividere qualche cosa con me; e ho fiducia nelle istituzioni (un po’ meno nei loro rappresentanti, in Italia, in questo momento storico).

Ho fiducia nel futuro indipendentemente dal colore che esso avrà per me, roseo o grigio, ma siccome il colore grigio stento a riconoscerlo, ecco che prevalgono gli altri colori.

Certamente la fiducia di cui parlo è quella incodizionata, quella che aveva Gesù per suo padre e, di rimando, quella che hanno i bambini per la mamma: per intenderci, quella che fa sì che quando la mamma promette che “il gelato te lo compro dopo” il bambino si mette così in attesa di questo “dopo” perchè la mamma glielo ha promesso. Un’altra immagine di fiducia a cui penso è quella del fedele che si affida al sacerdote nel sacramento della riconciliazione, o quando gli si affidano i propri figli.

E nonostante preti e genitori non siano immuni dal tradire la fiducia riposta, ho scelto di crescere i miei figli tramandando loro il piacere di un vivere fiducioso.
Certamente, predisporsi a vivere con fiducia la vita e le relazioni in essa implicate, significa anche imparare a ‘leggere’ le situazioni, a viverle, anche pestandoci il naso.

No, mai , nemmeno per un secondo vorrei non avere fiducia nel mondo: può capitare di provare un certo ribrezzo, incredulità e sconcerto, ma sfiducia no, piuttosco preferisco aprire gli occhi e prendere atto. Della serie: fiduciosi sì fessi no. (bella questa, ne faccio un aforisma?).

Forse la Fiducia non è il bene più prezioso, però certamente lo è così tanto da illuminare lo sguardo. In profondità.

Ciao,

    Silvia".

martedì 4 dicembre 2012

LIBRI E LIBRAI


Non so come sia per voi, ma a me succede quando vado per città, di venir meravigliosamente attratta dalle vetrine dei librai.
Dalla vetrina ad entrarci il passo è immediato; e una volta dentro il detto "guardare e non toccare" va a farsi benedire.

Nei negozi che vendono libri trascorro tempo meraviglioso a toccate e sfogliare, e immaginare il contenuto di milioni di milioni di milioni di parole fattesi carattere grafico.
Pensieri, racconti, storie, testimoninze di vite lontane o vicine o solo immaginate.
Storie che divertono, storie incredibili, cronache, appunti di viaggio, confessioni d'amore, preghiere.

Nei libri tutto l'amore per la vita perchè è la vita medesima che regala la possibilità di scrivere e di leggere infinitesime parti di queste vite fattesi libro.
L'odore dei libri ti si stampa nella mente ed è già l'inizio di un viaggio.
La consistanza della copertina, il tipo di carta, il colore.

Nella città in cui abito c'è una piccola libreria gestita da sole donne: la capessa e due abili aiutanti.
Si muovono in spazi piccolissimi ma ciò che desideri se non è lì te lo trovano in un baleno.
Non è un circolo culturale, nè un locale trendy.
Non si beve nè si mangia.
Ci sono solo i libri, montagne di libri, "en vogue" o no e quando entro nel negozio mi dimentico che fuori c'è un mondo.

Con la capessa ci intendiamo al volo e ci raccontiamo delle rciproche letture; a volte scopriamo di avere letto gli stessi vecchi memorabili libri altre volte impariamo ad apprezzarci per le reciproche diversità di letture.

Tutti i giorni alle 18 la capessa scompare perchè "è a recuperare i libri": io non ho mai osato chiedere cosa significhi di preciso perchè mi piace immaginare che con la sua automobilina vada in posti incredibili dove crescono meravigliosi libri, come fiori in un prato,

fiori che lei coglie per noi.

LE CERTEZZE SONO DENTRO DI NOI


Così sento dire attorno a me: “le certezze sono dentro di noi”!

Allora un giorno ho alzato il coperchio e mi sono messa a cercare.
… Ho trovato di tutto: schifezze di ogni genere, ricordi reconditi che credevo di aver seppellito per sempre e che (invece) come zombies mi si sono parati davanti dicendo: “ hei baby, tutto ok?”

Amori morti, amori vivissimi, felicità di ogni tipo, incertezze e sicurezze, capacità e lacune. Bugie e verità. Segreti segretissimi e limpidezze.
E questo soltanto frugando nel primo strato!

Ho scavato ancora e ho trovato le aspettative: le mie e quelle altrui su di me:
brrr… che brividi.
Ho insistito nel lavoro e questa volta con la vanga perché lo strato era durissimo, molto compatto, si capiva molto sedimentato.

Ci ho messo un sacco di tempo a scalfire la crosta e non ho trovato nessuna certezza.

In compenso ho conosciuto  una bellissima ragazza.


martedì 27 novembre 2012

L'ECO DI UN SOGNO (di Laura Bosio)


Un'amica mi racconta un sogno, un incubo classico, però con un finale imprevisto, e da trattenere.

E' aggrappata alla parete di un burrone, Intono è buio, la roccia è scivolosa e le dita non sono più in grado di reggere il peso del corpo. Inesorabilmente si apron, stanno per cedere, come la sua volontà. In quel momento sotto di lei, a molti metri di distanza, arriva un'auto. Si arresta la portiera si apre e la persona alla guida scende.
Lei riconosce sua sorella, donna energica e protettiva, leggera e profonda, mancata troppo presto. La sorella tende un braccio e la stacca dalla parete come un cartone anomato, mentre le dice: "Ma cosa fai lì?" Di colpo, la parete a cui lei era aggrappata si rivela inconsistente, immateriale, nient'altro che un grumo di timori diventato pietra, montagna.
Anche la distanza abissale appare un'allucinazione.
In basso, a pochi centimetri, c'è una strada, alla luce del giorno, basta mettere i piedi a terra e seguirla rimettendosi a camminare come sta facendo la sorella nel suo nuovo viaggio. Ci saranno altri pericoli, altri precipizi? Di certo sì. Eppure l'eco di quel "Ma cosa fai lì!" le impedirà, forse per sempre, di trasformarli in un assurdo ultimo appiglio.

Sua sorella non l'ha soltanto salvata, le ha mostrato che morire può essere facile.

Vivere è di gran lunga più difficile.

venerdì 23 novembre 2012

IL MIO TEPEE


"Io amo il mio tipì, la mia tenda. E' sempre pulita, è calda d'inverno e fresca d'estate, io posso portarla con me nelle mie migrazioni e piantarla sempre dove voglio.
Gli uomini bianchi costruiscono grandi case, una casa costa molti soldi eppure è solo una grossa gabbia, che chiude fuori il sole, rende malati e sta sempre nello stesso posto.
Indiani e animali sanno vivere meglio degli uomini bianchi, che hanno dimenticato che le creature di questa terra hanno bisogno d'aria ed acqua limpida per rimanere sani.
Se il Grande Spirito avesse voluto che noi vivessimo sempre nello stesso posto, avrebbe lasciato fermo il mondo; ma ha creato un mondo che si modifica incessantemente, nel quale si trovano sempre erbe fresche e bacche mature, sul quale di giorno - durante il lavoro e il gioco - il sole splende, e di notte l'oscurità avvolge coloro che dormono.
D'estate fioriscono i fiori, d'inverno dormono; perennemente la natura cambia il suo volto, ed è sempre buona".
Falco Volante


Foto di Edward S Curtis


giovedì 22 novembre 2012

Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo,
sul fondo si compone un riflesso,
ed è l'anima che si lascia intravvedere.

(Steve McCurry)

UN' INTIMA CONVINZIONE


Non mi riesce, a proposito dell’ansia di “rinascimento” pensare a noi, esseri umani, e al nostro rapporto con Dio senza scinderlo dal rapporto che ci lega con la morte.

E’ proprio con il consolidamento del pensiero ‘umanista’ che avviene la prima vera frattura fra l’uomo e la propria morte. Certamente certi cambiamenti sono lentissimi, ma c’è sempre un inizio e un perché.

Se prendiamo gli antichi romanzi medioevali si capisce che non è contemplata possibilità diversa del morire senza averne avuto sentore o preavviso.
La morte improvvisa (così non soffro…) non solo non era contemplata, ma anzi era vista come una morte terribile al pari della peste.

L’avviso era un’intima convinzione e non certo una premonizione magica.
Era cosa molto semplice e non si trattava di piétas cristiana bensì più semplicemente di un riconoscimento spontaneo.
Ecco, il riconoscimento spontaneo della vita e del suo accadere è materia a noi tanto estranea.

Possediamo tutto, ma non ci rimane niente. Non siamo nemmeno capaci di dimenticare il mondo e di pensare a Dio anche per recitare il mea culpa.

Certo che è difficile credere, lasciarsi sopraffare dalla fortezza della fede… come abbandonarsi tra le braccia dell’innamorato. “Dio! Hai richiamato Lazzaro dai morti, salvato Daniele dai leoni: ti prego, salva anche me dai miei peccati!”

Al nostro tempo non siamo confortati nemmeno dalla naturalità della morte: quel sonno misterioso dell’essere indivisibile che attende il giorno della resurrezione, non c’e più, per davvero.

La solitudine dell’uomo davanti a questo momento è lo spazio in cui questi prende coscienza della sua individualità.
La morte, in questo tempo è in mano ai medici anestesisti: si nega la morte per salvaguardare la felicità ponendo grande attenzione alle futilità perché mettere in discussione la felicità equivale a compiere un peccato contro la felicità stessa.

… E in una società che si alimenta di ‘felicità’, dove è un dovere morale essere felici e dove la società medesima ha l’obbligo sociale di contribuire alla felicità collettiva evitando perciò ogni causa di tristezza o noia, costringendoci un po’ tutti a darci l’aria felice anche se si tocca il fondo della desolazione: si capisce che diventa molto difficile credere.

Credere, fatica quotidiana per coltivare il dettaglio che non ti faccia gettare la spugna e non tanto o solamente per tentazione a cedere a facili soluzioni o lusinghe, ma perchè nascere e ri-nascere è molto oneroso; e può starci anche il non riuscirci, il perdersi, il sentirsi svuotati di senso.

Ma la convinzione che si possa ritrovare un significato autentico della nostra esistenza è un atto di fede di grande respiro.

E serenità.


Silvia

sabato 17 novembre 2012

NEL NOME DEL PADRE


“Papà sta morendo! Corri!”

Così,
mi sono messa a correre, correre, correre. E mentre correvo mi domandavo che senso potesse avere in quel momento correre: Per arrivare per prima? E dove? Perchè,  cosa sarebbe cambiato?
Però sono arrivata davvero per prima e per prima ho capito che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio in quel posto che tante volte avevo raggiunto trapassando pioppeti e campi di riso; perchè era là che andavo ormai da tempo infinito, in un ospedale circondato da pioppeti  e campi di riso. Un paesaggio dolcissimo, che ho attaversato in tutte le stagioni. In quei viaggi tutta la mia vita alla ricerca di un epilogo di una vita; intimità parole, silenzi, sorrisi, commozioni, addii, volontà.
Ricordo però, che in procinto dell’approssimarsi  dell’autunno ho avuto un fremito di tristezza. Perchè l’autunno, magnifica stagione dai colori accesi e appassionati, rappresenta anche il tempo del mutamento e della trasformazione, della calma e del freddo.  E’  un tempo di attesa:  le foglie vecchie cadono per lasciare spazio al riposo necessario al generarsi delle nuove gemme. Il vecchio lascia il posto al nuovo con passo fermo e inesorabile. Da che mondo è mondo.  
Era un presagio che stava trovando il suo compimento. Il tempo era scaduto e non rimaneva che una manciata di minuti per correre incontro a un destino che si era espresso senza più appello.
“Va bene, ho capito. Spiegate voi a mia madre, noi la sosterremo”.
“Quanto tempo ci vorrà”?
Che domanda. Avevo corso così tanto per contare una manciata di minuti e ora avevo addirittura fretta? ma il tempo non vale sempre uguale: l’attimo che ci separa dall’alzare gli occhi al cielo sono interminabili e l’ovvio silente respiro diventa un sibilo eterno che sembra scandire tutte le parole che in vita mai si ha avuto l’ardire di pronunciare.
“Padre, siamo qui per te, tutto è per te, il calore del nostro corpo, la dolcezza dei nostri baci e delle nostre lacrime, le carezze delle nostre mani che hanno la stessa foggia delle tue”
Perchè nel tuo nome è la nostra origine.

Autunno 2012


mercoledì 14 novembre 2012

INFINITAMENTE


Reduce da un periodo faticosissimo sotto diversi punti di vista.

Sì sono una reduce, una di quelle che ad un certo punto si guarda intorno e si dice: “dov’eravamo rimasti? Cosa è successo?

Una di quelle che ad un certo punto intercetta lo specchio e si spaventa;
una di quelle che butterebbe la sveglia nel canale;
una di quelle che si chiede: “ma come fanno gli altri”?

 
…Una di quelle che si sente libera di sentirsi vera, stanca, innamorata, addolorata. In una parola: infinitamente donna.

sabato 10 novembre 2012

ACQUA VIVA


Chi non desidera venire amato alzi la mano.

Ummh…che silenzio!

Già perché non esiste essere vivente insensibile alle attenzioni dell’amore: persino i fiori si fanno più belli se si sentono amati e ben guardati. Figurarsi un essere umano con tutti i suoi vuoti, le sue incertezze, i suoi bisogni di rassicurazione!
Sentirsi amati dà valore alla nostra esistenza; ci convince che non siamo soli; lusinga il nostro bisogno di conferme e, forse, dà sollievo al fuoco ardente che alimenta la nostra vanità.
E allora, come in preda a una fame irresistibile alla quale sembriamo incapaci di resistere saremmo disposti a chissà cosa pur di farci amare, sino ad annullarci per rifletterci nell’amato come un eterno e prepotente Narciso. “ Più mi sembra di venir amato, più autentica è la mia esistenza”? E’ questa un’equazione che ha credito presso la nostra vita?

Ma... siamo capaci oltre che a cercare di farci amare, di LASCIARCI amare?

Che bella domanda eh? Forse non basta una vita per rispondere, tutti presi come siamo a rincorrere la conferma amorosa…

Lasciarsi amare senza figure prefissate.
Lasciarci amare rinunciando a risposte a noi gradite, preferite, sognate, attese.
Lasciarci amare accettando anche i silenzi e la lontananza, la rinuncia.
Lasciarci amare mettendo in conto che questo amore possa attraversare linguaggi anche per noi indecifrabili, inediti e inattesi.

E’ facile cadere nel tranello del “tu non mi ami abbastanza” perché nello specchio non riconosciamo la nostra immagine riflessa. E’ quasi banale riconoscere in una delusione amorosa l’altrui incapacità a sintonizzarsi sulla nostra fame.

E noi? Siamo sintonizzati sull’amore altrui, siamo così capaci da riconoscerlo?
Cogliamo la possibilità di tacere all’amore che ci è offerto?
Abbiamo la capacità (forse sovrumana) di abbandonarci all’umiltà dell’ascolto?

Quanto amore abbiamo calpestato perché incapaci di riconoscere il sentiero…?
Quanto amore abbiamo ignorato perché mimetizzato nelle pieghe della vita…?
Quanto amore abbiamo smarrito perché il nostro sguardo si era fissato su immagini così lontane e offuscate da impedirci di vedere…come immersi in una perenne nebbia a renderci sagoma eterea che cerca di soddisfare il proprio illusorio bisogno si rassicurazione.

Forse, quel giorno che riusciremo a resistere alla tentazione di cercare e saremo capaci di ignorare quello stagno immobile che non potrà mai dissetarci, forse, saremo capaci di trovare la fonte di acqua viva che tanto ci è cara.


Silvia

venerdì 9 novembre 2012

NON SI CAMBIA


“la vita ti cambia” disse un amico in procinto di un salto nel buio.
No, io non credo che la vita ci cambi.
La vita io la sento come  mutamento continuo di un “IO”  che esiste già e che va elaborato. Noi non cambiamo mai se siamo stronzi stronzi rimarremo...sarà solo questione di aspettare l'occasione buona per manifestarci...

Ma forse mi sbaglio.

giovedì 8 novembre 2012

IL SOLE


Non so se capita anche a voi.
Periodi faticosi soprattutto dal punto di vista emotivo; sentire il desiderio di raccontarsi e aprire la diga delle proprie emozioni, per condividere le fatiche, le tristezze che -anche se passeggere- tolgono il sonno.
Desiderio di confronto anche solo per sapere che non capita solo a te, di sentirti così.
Avere voglia di fare tutto ciò e sentirti rispondere:
"Ma come?! Non è possibile! Tu che sei il sole..."

 ...Come se al sole fosse impedito di offuscarsi.




ADDIO


Quando si intreccia una relazione particolrmente intensa si ha voglia di lasciare segno di sè.
Parole, pensieri gesti parlano di noi e del nostro desiderio dell'altro.

Quando vediamo un paesaggio meraviglioso pensiamo all'amato che meraviglioso al nostro cuore pare. Vorremmo coprirlo di doni e di baci, forse.

Il nostro amore è già di per sè un dono. Ma quando l'amore finisce, cosa succede? rimane solo il rancore? Resta il rimpianto? Raccogliamo cocci di cuori infranti?
Cosa succede?
Come lasciare memoria di sé?
C'è un dono che si può lasciare per dirsi: "grazie per questo amore, comunque sia andata sarai sempre stato sempre un dono."

Chissà se ne siamo capaci


sabato 3 novembre 2012

PAROLA DI YORICK FIGLIO DI YORICK


..."Le donne sono nate apposta per fare l'opposizione; e hanno un talento specialissimo per disobbedire, per resistere agli ordini, per ribellarsi a ogni genere di supremazia. E adoperando, secondo i casi, la forza d'inerzia o quuella d'impulsione. Un po' si abbandonano, di adagiano, si sdraiano nell'immobilità più sfiaccolata; e lascian dire, e lascian fare, quasi rimanessero ad un tratto in uno stato di sonnolenza, che impedisse loro di darsi le mani d'attorno, e da cui altro non le toglie se non pigliandole di peso e trascinandole all'azione."... Così parlò Yorick figlio di Yorick: Ma sarà vero che le donne sono così?

sabato 27 ottobre 2012

IL DELTA DEL PO...


...e il Polesine.

A partire da Porto Tolle per incontrare le zattere che ti traghettano da una sponda all'altra; i ponti di barche; le immense distese di campi liberi e coltivati.
E ancora le postazioni per la pesca, gli aironi che volani liberi e ti fanno venire la voglia di volare...seguendo il corso del fiume nel suo tratto pensile; avanti ancora a incontrare il cielo che si sposa con il mare e il Po limaccioso e turbolento che ci si tuffa.

In questa stagione è un viaggio bellissimo immersi nel silenzio della natura. Dal Nord Italia ci si arriva facilmente in automobile ovunque ci si trovi e anche dal centro non è una follia ma se abitate a sSd, prima di andare in capo al mondo, andate a vedere il delta del Po. E magari fermatevi a Rovigo che del Polesine è la "capitale": una piccola città che rappresenta bene il paesaggio urbano della Pianura Padana e dove è possibile trovare trattorie con cucina tipica e casalinga per davvero.

Buon viaggio

L'IDIOTA, IL SAGGIO E LA BROCCA


Ecco una storia di un maestro derviscio morto sul finire del XVIII secolo.


Si può dire che l'uomo ordinario è un idiota: egli interpreta sempre
erroneamente ciò che gli accade, ciò che fa, o ciò che è causato dagli altri. E
lo fa in un modo talmente plausibile che, sia per lui sia per suoi simili, interi
aspetti del la vita e del pensiero sembrano logici e veri.

Un giorno, un idiota di questo tipo fu mandato da un saggio a prendere del
vino. A tale scopo gli era stata affidata una brocca.
Strada facendo, per sua disattenzione, l'idiota ruppe la brocca urtando
contro una roccia.
Quando varcò la soglia della casa del saggio, gli porse il manico della brocca
dicendo:
'Il tal del tali ti aveva mandato questa brocca, ma un'orribile pietra me l'ha
rubata".
Divertito e desideroso di mettere la sua coerenza alla prova, il saggio gli
chiese:
"Visto che la brocca è stata rubata, perché mi hai portato il manico?".
"Non sono così scemo come pensa la gente" , rispose l'idiota, "ho portato il
manico come prova di quanto mi è accaduto".

                                                    * * *
Uno dei temi ricorrenti tra i maestri dervisci è che l 'uomo non sa
generalmente discernere una trama nascosta ne gli eventi, che sarebbe
l'unica a permet tergli di fare un uso completo della vita. Coloro che sanno
vedere questa trama vengono chiamati saggi , mentre del l'uomo ordinario si
dice che è 'addormentato'. Lo si chiama anche 'idiota'.

mercoledì 24 ottobre 2012

IMAGINATION


Se tracci col gesso una riga sul pavimento,
è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi.
Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso.
Se fai finta che la fune non è altro che un disegno
fatto col gesso e l'aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi.
Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci.
Non essere in guerra con te stesso: così... tutto diventa
possibile, non solo camminare su una fune, ma anche
volare.

~
Hermann Hesse - Imagination ~


lunedì 22 ottobre 2012

venerdì 19 ottobre 2012

IL VOLO DI ICARO


Icaro volle avvicinarsi troppo al sole e ne morì.

L'areoplano se vola troppo basso si schianta al suolo.

L'uomo arrogante senza più orizzonte vagherà a zonzo e senza più bussola e si schianterà al suolo come un aquilone senza più corda tesa;

l'uomo arrogante sarà temibile e sfiduciato e  sempre più fiero di circondarsi di piccola umanità insicura che gli garantirà una buona e suprema immagine.

Questo atteggiamento sarà garanzia di solitudine e fastidio eterno.


Icaro si scottò, ma l'arrogante grufola nel fango e vaga nella nebbia.

Di Icaro se ne parla, dell'arrogante rimane solo un misero, sbiadito ricordo.

martedì 16 ottobre 2012

QUELLI DI PRIMA

Non credo che noi si possa avere il timore "di tornare quelli di prima"; di tornare quelli che siamo stati, di tornare quello che ci ha porteto sino a qui.
Non credo a questa possibilità anche solo perchè impossibile per definizione, perchè l'acqua del fiume è sempre acqua ma non è mai la stessa e mai più lo sarà.
 
Credo sia più realistica, invece, la paura di scoprire di essere diversi da quello che credevamo di essere e di essere stati.
 
Paura di vedere modificata l'idea e l'immagine che ci eravamo fatti di noi e che ci piaceva vedere riflessa nello specchio ingannevole nel quale siamo soliti rifletterci.
 
E' questa paura di scoprirci nuovi che ci rende fragili.  E' questa paura di ascoltarci, di fermarci a guardare l'acqua che scorre che ci impedisce di amare e di lasciarci amare.
Io sento più : frequentemente "com'era bello quando..."    piuttosto che :" mi piacerebbe riconoscere la pelle che muta"....
 
E' più rassicurante circondarci di certezze che di incognite.
 
 
Che poi questa realtà ci renda veri è piccola cosa....
 
 
 
 

venerdì 12 ottobre 2012

IL QUARTO TEMPO

Ciao a tutti, questa è una storia che ho scritto ed è stata pubblicata quest'anno. E' contenuta in un libro di AA.VV. che si intitola "Il XV del presidente" ed è edito da A.Car edizioni.
Eccone uno stralcio d'inizio.



Questa piccola storia è una vicenda realmente accaduta. Ed è capitato a me viverla.

IL QUARTO TEMPO:
ovvero, ciò che rimane di noi.
Testimonianza di una donna più affine all’acqua che alla terra e che ha deciso di mettersi in gioco.
Costi quel che costi.

di Silvia Peca





 PROLOGO
Può capitare, anche al genitore più sensibile e amorevole, di non riuscire a mettere perfettamente a fuoco che i figli crescono. E quando dico “crescono”, non intendo semplicemente che si allungano di statura, ma che si fanno un’idea delle cose che non è più quella proposta da noi genitori; e affinchè questo processo possa esprimersi, è necessario che i nostri figli maturino una loro, originale, inedita idea che –si spera-  sia il più possibile autonoma anche se  diversa dalla nostra.
I figli ci guardano, si dice, sono persone, si dice, che, ad un certo punto della loro esistenza, smettono di sentirsi marmocchi e rivendicano la libertà di essere individui diversi da noi che li abbiamo cresciuti, esprimendo questa diversità attraverso le loro possibilità, le lo abilità, le loro paure, le loro passioni, le loro incertezze e i loro fallimenti, mettendo così in campo tutte le loro energie. Le loro, appunto.
Sarà capitato, a qualche genitore, di accorgersi che il proprio figlio lo osserva e non necessariamente per criticarlo, giudicarlo o disprezzarlo, ma, forse, anche solo per cercare quali siano le differenze che li separa. O li unisce.

domenica 7 ottobre 2012

SENTIMENTI


Senso del dovereamor patrio:

due pilastri che tenevano in piedi la società; la muovevano,
la normavano,
la educavano
e la onoravano.

Pochi concetti saldi.
Non so se il senso del dovere sia una questione di quantità piuttosto che pertenga alla sfera del risultato da ottenere: mantenere la parola, l'impegno assunto costi quel che costi.

Cose dei secoli passati? No, Ci credo ancora.

Sono sentimenti. E i sentimenti non muoiono mai.

AUTUNNO


L’autunno si pone come stagione propizia per fertili mutamenti.

E' in autunno che le foglie vecchie si staccano e l'albero non oppone resistenza perché in questa naturalità risiede la possibilità per nuove gemme di generarsi;
è necessario lasciar cadere ciò che non serve più e che linfa vitale più non porta.

Spesso siamo attratti dalla tentazione di perpetuare lo splendore del sole che ci ha riscaldati e ci ha donato forti passioni, ma è nell’autunno dei nostri pensieri che non si rigenerano più che alcune porte si chiudono per lasciare che altre possano aprirsi.
Sui rami che si spogliano non cade il nulla, ma nuove vite si preparano a sbocciare perchè la vita ha bisogno di rinnovarsi e per far sì che ciò accada non bisogna aver timore di perdere qualcosa che ci è appartenuto.

Chiudere le porte della vita è un passaggio che può essere impegnativo, ma soltanto dopo essersi lasciati alle spalle il vecchio potremo predisporre il nostro cuore all'accoglimento del nuovo.

L’autunno è un Avvento che si rinnova ogni anno e chiede di venir accolto per quello che è: attesa di un miracolo.

La vita, con le sue infinte sorprese ci chiede di lasciar cadere ciò che di vecchio dimora in noi, e noi possiamo solo ringraziare di questa possibilità.


silvia

mercoledì 3 ottobre 2012

PASSIONE


Le persone  per esistere e lasciare traccia di sé devono poter seminare le proprie ricchezze così come le proprie miserie: grano e zizzania, perchè le une servono alle altre.
Miserie e ricchezze hanno lo stesso peso e brillano allo stesso modo e questo è vero e, forse, anche salutare, da che mondo è mondo.

Ci piacerebbe essere sempre belli e brillanti, allegri, soddisfatti, accoglienti e ben accolti e invece dobbiamo fare i conti con la parte meno luminosa di noi, se non addirittura quella oscura e inguardabile: il rovescio dlla nostra personalissima medaglia.

E' un lavoro sporco,  da farsi in silenzio e intimità.

Questo lavoro mi piace chiamarlo passione.

Passione: quel sentire che ci smuove senza tregua e ci rende nudi.
E qui possiamo scegliere se vergognarci o sentirci liberi.


martedì 2 ottobre 2012

UNA COSA PIU' BELLA


Ciò che rimane della nostra infanzia non può essere un ricordo lontano.
Non può essere nemmeno un ricordo.

Ciò che rimane della nostra infanzia è la linfa che alimenta le radici e i tessuti: null'altro; non potrà essere la nostalgia o la paura del buio. 

Chi ha avuto il compito di superare la soglia della giovinezza non può esimersi dal cavalcare l'onda, di giocare la partita che la vita offre e impone, senza remore.

La paura di perdersi mai si estinguerà ma la differenza tra un eterno bambino e un adulto è che il primo dopo un po' stufa. Fa ridere un giorno,  rallegra il secondo, annoia al terzo.

Un uomo è un'altra cosa. Più bella.

sabato 29 settembre 2012

LA NOSTRA ECO


Solo un' eco è rimasta  a ricordarmi della tua esistenza;
è un ricordo ingombrante
che rimbalza rumoroso nelle stanze vuote attorno a me.
I tuoi passi, la tua voce, le tue parole ripetute all'infinito.

Tutto passa, ma alcuni dettagli di noi si perpetuano all'infinito per ricordarci la strada che abbiamo percorso.

L'EQUILIBRISTA


Così come è tardi quando la bestemmia è uscita dalla bocca, e faticoso è fare l'esame di coscienza,
è impegnativo voler guarire dai nostri malanni.

L'equilibrista sa che una piccola distrazione può essergli fatale.

Noi siamo equilibristi, e la vita è il nostro cavo teso.
Il bilancere è il nostro cuore.

mercoledì 26 settembre 2012

CASA TRADIZIONALE GIAPPONESE: non tutte le anime sono uguali

 
La casa tradizionale giapponese si rifà a una concezione della vita e del vivere che non ha equivalenti nel mondo occidentale e in Europa in particolare; per cui, dire ‘casa’ nello stile di vita tradizionale giapponese e dire ‘casa’ in Europa, non è detto che significhino la stessa cosa e non è detto che si condividano e si riconoscano i concetti di fondo.

Lo storico Daniel Boorstin in "The Creators" ha scritto: "Mentre gli architetti
occidentali combattono gli elementi della natura, i giapponesi, ammirando il loro potere, hanno cercato il modo di utilizzare il loro fascino":
certo, è un punto di vista, ma se prendiamo per accettabile questo assunto, allora possiamo tentare di descrivere e riconoscere la casa tradizionale giapponese che si basa sulla ricerca costante di equilibrio tra quiete, misura e raffinatezza senza voler ignorare la natura transitoria e caduca di ogni cosa (non dimentichiamoci che il Giappone è terra di terremoti!);

il legno è il materiale preferito e per costruirla si imposta una struttura costituita da un telaio di pali e travi su cui si inseriscono dei pannelli in legno e carta di riso che costituiscono le pareti esterne che così fatte assicurano con efficacia aerazione e ventilazione dei locali.

All’interno troviamo diverse stanze separate il cui uso può facilmente essere flessibile e trasformarsi in grandi ambienti aperti o locali più chiusi e intimi; gli ambienti interni, anche quando non sono oggettivamente ampi, appaiono spaziosi anche grazie all’utilizzo di porte scorrevoli di ampiezze adeguate allo scopo.

Materiali usati sono leggeri e ‘fragili’: I muri, in questo tipo di casa, non sono di muratura ma di carta traslucida che permettono di percepire ombre al di là, senza tuttavia ricocoscere con chiarezza ciò che sta avvenendo.

In generale e nel suo insieme, questo tipo di casa è poco appariscente e priva di ornamenti ed esprime un intento a eliminare ciò che non è ritenuto ‘essenziale’:
è la casa per l’anima, l’anima giapponese.

La nostra casa si esprime con modalità differenti, che non sono nè migliori nè peggiori:  semplicemente diverse...

...perchè non tutte le anime sono uguali.



lunedì 24 settembre 2012

BELLISSIMAMENTE IMPERFETTI


Chissà perché ci capita di vedere nello specchio un riflesso che non
sentiamo corrisponderci sino in fondo; come mai c’è sempre
qualche pezzettino di noi di cui faremmo volentieri a meno o che vorremmo in più o diverso.

Qual' è la soglia tra imbellettarsi e camuffarsi? Possiamo piacerci così come siamo?

Bellissimamente imperfetti.

Se riuscissimo a far coincidere la percezione che ognuno ha di se stesso
con l’immagine che ci viene restituita dallo specchio ma anche dalle
persone attorno a noi,
forse riusciremmo a vederci più “belli”, belli così come siamo:

bellissimamente imperfetti.

PAZIENZA

"Abbi pazienza"

Questa è forse una delle frasi più in uso.
Ma cosa significa avere pazieza?
E quanti "tipi" di pazienza ci sono?

Penso alla pazienza che ci vuole coi bambini che forse non è la stessa che occorre con i vecchi vecchi. O forse sì; ma anche la pazienza che ti viene chiesta davanti a un malato che non sai se guarirà e come guarirà.
E della pazienza che chiediamo a noi stessi davanti a un'attesa che non si sbroglia mai...?


Pazienza: una parola immensa e profonda come una caverna capace di contenere innumerevoli vite.

sabato 22 settembre 2012

SENSI DI COLPA, a torto o a ragione


Vorrei essere in grado di contare tutte le volte che ho provato almeno un tiepido senso di colpa.
Cento? Mille? Un milione? Mah... non vorrei che mi venisse il mal di testa.

Quante volte ho preso posizioni o espresso comportamenti che mai avrei voluto avere ma che ho avuto
e che nemmeno la patina del tempo è riuscita a rimuovere, o almeno, offuscare.

Quante voltte il nostro malessere ci rende cortecce appassite e insensibili e fa uscire dalle nostre bocche frasi così velenose da rendere impossibile la sopravvivenza medesima del confronto?
Ma noi non siamo cortecce insensibili; così ecco che sorgono i dubbi, emergono i torti e le ragioni
che si azzuffano e si mischiano e ci deridono sino a confonderci definitivamente
le idee.

E così ci sentiamo franare il terreno sotto i piedi
il fiato si fa corto
il nostro sguardo non riesce a vedere la luce del cielo.

Sono i sensi di colpa che ci frenano o ci offrono un'altra possibilità.