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sabato 26 luglio 2014

SULLE DITA DI UNA MANO

 

Chi ha dei figli in età scolare può facilmente imbattersi  nuovamente nello studio tabelline.

Tre per tre; cinque per otto;  sei per nove. E viceversa.

Se chiediamo a un bambino di tre anni quanti anni ha, la sua risposta sarà rinforzata dall’uso delle dita. Quando la mamma dà l’ultimatum, conta sino a tre e mette bene in evidenza le dita che ingiungono.

Molte cosa della nostra vita si misurano attraverso le dita di una mano:

- “Quanti amici veri hai?”

-“Boh... si contano sulle dita di una mano”, questa frequentemente sarà la risposta.

Più interessante sarebbe sapere quante dita occorrono per contare gli amanti di una vita, o i baci dati, o i divorzi; Liz Taylor ha avuto bisogno di due mani per contare i suoi ed è morta alla stessa età di mio padre che di moglie ne ha amata una sola.

Ma se a ogni dito diamo valore dieci, ecco che tutto cambia.
Un dito uguale dieci anni: ora posso ripartire da zero

sabato 28 giugno 2014

GLI SCEMI

Grazie a tutti coloro che partecipano al blog lasciando i loro commenti.
Mi spiace soltanto di doverne eliminare qualcuno perché eccessivamente da idiota. Spero che la grazia di avere un cervello funzionante non venga buttata nel cesso per il gusto di essere provocatori. Per gli scemi non c'è spazio: né qui né altrove, credo che i vari F. e anonimi lo sappiano già e vivano male la frustrazione di sapersi scemi.

domenica 18 maggio 2014

PAROLA DI YORICK FIGLIO DI YORICK

."Le donne sono nate apposta per fare l'opposizione; e hanno un talento specialissimo per disobbedire, per resistere agli ordini, per ribellarsi a ogni genere di supremazia. E adoperando, secondo i casi, la forza d'inerzia o quuella d'impulsione. Un po' si abbandonano, di adagiano, si sdraiano nell'immobilità più sfiaccolata; e lascian dire, e lascian fare, quasi rimanessero ad un tratto in uno stato di sonnolenza, che impedisse loro di darsi le mani d'attorno, e da cui altro non le toglie se non pigliandole di peso e trascinandole all'azione."... Così parlò Yorick figlio di Yorick: Ma sarà vero che le donne sono così?

giovedì 10 aprile 2014

DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO: raccontami di te

“Ciao, come stai?” “Bene grazie!" Il solito tran-tran”. Ecco. Sarà capitato, immagino, di ricevere (e dare) tanta risposta. “il solito tran-tran” mi ha sempre colpito e non mi piace molto, in verità, così come anche il “tiriamo avanti”. Sono espressioni che raccolgo da sempre. Sono espressioni che raccolgo a tutti i livelli e a tutte le età. “il solito tran-tran”: ma cosa esprime, cosa porta con sé? Malessere? Scontento? Appiattimento? Noia? A me così è sempre suonato “il solito tran-tran”. Forse, invece, “il solito tran- tran” racconta la ritualità del quotidiano, quei piccoli gesti a volte meccanici che compiamo ogni giorno: apparecchiare la tavola, una telefonata, lavarsi, riporre la biancheria, maledire il compagno di lavoro o la vicina di casa. Svegliarsi la mattina, coricarsi la sera. Tutti i giorni. Che banalità! Verrebbe da dire… E invece… chi può vantare una simile VITA-lità è, forse, una persona capace di valorizzare la vita medesima: una carezza, un bacio, una parola sentita e ascoltata, un silenzio, una tavola semplice ma accuratamente apparecchiata per uno come per dieci commensali, una luce accesa, una televisione spenta quando arriva una visita. Chi può vantare una simile percezione è, forse, una persona ricca, ma di quelle che non hanno paura di venir derubate. Certo, poi ci sono fasi supersoniche, di quelle che ti strapazzano l’anima ma…apprezzare e valorizzare la semplicità del quotidiano giorno dopo giorno volete mettere che conquista? E sì, mi permetto di chiamarla così perché a volte, l’avventura più espressiva per noi stessi siamo proprio noi stessi. Avvenimenti roboanti, vite da leoni e opere mirabolanti emanano sicuramente aromi seducenti ma mai come il profumo semplice e cristallino del pane quotidiano. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.  “Ciao, come stai?” “Bene grazie! Il solito tran-tran”. Raccontami di te.

giovedì 20 marzo 2014

AVANTI A TUTTA!

E’ arrivata! E’ arrivata anche quest’anno, tanto attesa eppur semplicemente puntuale: è la primavera. Passo dopo passo a resistere a tormente di neve, nebbie che t’infradiciano le ossa, gelo che ti penetra nel profondo. Alberi spogli e irrigiditi come foreste di pietra. L’inverno è lungo, lento, buio e tutto sembra tacere come in un folto senza fiato ma succede che già attorno a san Sebastiano ci si possa tenere “il cappello in mano” anche se è consigliata cautela; eppure è il segnale che ci avverte che la primavera è alle porte, basta mettersi in ascolto. Poi, passo dopo passo, giorno dopo giorno nella ferialità che ci rende tutti uomini in terra, la foschia si dirada e lascia spazio alle giornate più lunghe e il cielo riesce a illuminarsi di nuova luce meno algida e rarefatta. Le nuvole compaiono già gonfie e non più striate in alta quota bloccate lassù dalla coltre gelida che ci ha ammantato. In questa prospettiva proviamo pensare a noi, quando ci pare ancora e sempre tutto immobile e inespressivo arrendendoci all’impazienza e restiamo restii a riconoscere che i mutamenti più espressivi sono lenti e impercettibili, silenziosi e discreti. Sotto il gelo non c’è il nulla ma germogli addormentati. Tuttavia noi non sempre siamo disposti ad accogliere tutto ciò perché abbiamo sempre fretta e fame di conferme e novità: viviamo oggi ma con la testa siamo ancora a ieri o addirittura al domani che non conosciamo ancora. Intanto la primavera non ci tradisce mai. Piano piano arriva, giorno dopo giorno, passo dopo passo. Non scoraggiamoci se ci sembra che il nostro vivere non offra i vagiti della novità, di una vita diversa e sognata chissà come. Non temiamo le nostre nudità e le nostre fragilità, perché in esse si cela la nostra forza. Ricordiamo che quando nelle nostre preghiere invochiamo “il nostro pane quotidiano” stiamo parlano proprio di noi e della nostra vita che è tutta da vivere con forza e lievità. Le gemme che l’inverno ha custodito non aspettano altro di poter sbocciare. Avanti a tutta! Allora. Silvia

mercoledì 12 marzo 2014

ACQUA VIVA

Chi non desidera venire amato alzi la mano. Ummh…che silenzio! Già perché non esiste essere vivente insensibile alle attenzioni dell’amore: persino i fiori si fanno più belli se si sentono amati e ben guardati. Figurarsi un essere umano con tutti i suoi vuoti, le sue incertezze, i suoi bisogni di rassicurazione! Sentirsi amati dà valore alla nostra esistenza; ci convince che non siamo soli; lusinga il nostro bisogno di conferme e, forse, dà sollievo al fuoco ardente che alimenta la nostra vanità. E allora, come in preda a una fame irresistibile alla quale sembriamo incapaci di resistere saremmo disposti a chissà cosa pur di farci amare, sino ad annullarci per rifletterci nell’amato come un eterno e prepotente Narciso. “ Più mi sembra di venir amato, più autentica è la mia esistenza”? E’ questa un’equazione che ha credito presso la nostra vita? Ma... siamo capaci oltre che a cercare di farci amare, di LASCIARCI amare? Che bella domanda eh? Forse non basta una vita per rispondere, tutti presi come siamo a rincorrere la conferma amorosa… Lasciarsi amare senza figure prefissate. Lasciarci amare rinunciando a risposte a noi gradite, preferite, sognate, attese. Lasciarci amare accettando anche i silenzi e la lontananza, la rinuncia. Lasciarci amare mettendo in conto che questo amore possa attraversare linguaggi anche per noi indecifrabili, inediti e inattesi. E’ facile cadere nel tranello del “tu non mi ami abbastanza” perché nello specchio non riconosciamo la nostra immagine riflessa. E’ quasi banale riconoscere in una delusione amorosa l’altrui incapacità a sintonizzarsi sulla nostra fame. E noi? Siamo sintonizzati sull’amore altrui, siamo così capaci da riconoscerlo? Cogliamo la possibilità di tacere all’amore che ci è offerto? Abbiamo la capacità (forse sovrumana) di abbandonarci all’umiltà dell’ascolto? Quanto amore abbiamo calpestato perché incapaci di riconoscere il sentiero…? Quanto amore abbiamo ignorato perché mimetizzato nelle pieghe della vita…? Quanto amore abbiamo smarrito perché il nostro sguardo si era fissato su immagini così lontane e offuscate da impedirci di vedere…come immersi in una perenne nebbia a renderci sagoma eterea che cerca di soddisfare il proprio illusorio bisogno si rassicurazione. Forse, quel giorno che riusciremo a resistere alla tentazione di cercare e saremo capaci di ignorare quello stagno immobile che non potrà mai dissetarci, forse, saremo capaci di trovare la fonte di acqua viva che tanto ci è cara.