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martedì 27 novembre 2012

L'ECO DI UN SOGNO (di Laura Bosio)


Un'amica mi racconta un sogno, un incubo classico, però con un finale imprevisto, e da trattenere.

E' aggrappata alla parete di un burrone, Intono è buio, la roccia è scivolosa e le dita non sono più in grado di reggere il peso del corpo. Inesorabilmente si apron, stanno per cedere, come la sua volontà. In quel momento sotto di lei, a molti metri di distanza, arriva un'auto. Si arresta la portiera si apre e la persona alla guida scende.
Lei riconosce sua sorella, donna energica e protettiva, leggera e profonda, mancata troppo presto. La sorella tende un braccio e la stacca dalla parete come un cartone anomato, mentre le dice: "Ma cosa fai lì?" Di colpo, la parete a cui lei era aggrappata si rivela inconsistente, immateriale, nient'altro che un grumo di timori diventato pietra, montagna.
Anche la distanza abissale appare un'allucinazione.
In basso, a pochi centimetri, c'è una strada, alla luce del giorno, basta mettere i piedi a terra e seguirla rimettendosi a camminare come sta facendo la sorella nel suo nuovo viaggio. Ci saranno altri pericoli, altri precipizi? Di certo sì. Eppure l'eco di quel "Ma cosa fai lì!" le impedirà, forse per sempre, di trasformarli in un assurdo ultimo appiglio.

Sua sorella non l'ha soltanto salvata, le ha mostrato che morire può essere facile.

Vivere è di gran lunga più difficile.

venerdì 23 novembre 2012

IL MIO TEPEE


"Io amo il mio tipì, la mia tenda. E' sempre pulita, è calda d'inverno e fresca d'estate, io posso portarla con me nelle mie migrazioni e piantarla sempre dove voglio.
Gli uomini bianchi costruiscono grandi case, una casa costa molti soldi eppure è solo una grossa gabbia, che chiude fuori il sole, rende malati e sta sempre nello stesso posto.
Indiani e animali sanno vivere meglio degli uomini bianchi, che hanno dimenticato che le creature di questa terra hanno bisogno d'aria ed acqua limpida per rimanere sani.
Se il Grande Spirito avesse voluto che noi vivessimo sempre nello stesso posto, avrebbe lasciato fermo il mondo; ma ha creato un mondo che si modifica incessantemente, nel quale si trovano sempre erbe fresche e bacche mature, sul quale di giorno - durante il lavoro e il gioco - il sole splende, e di notte l'oscurità avvolge coloro che dormono.
D'estate fioriscono i fiori, d'inverno dormono; perennemente la natura cambia il suo volto, ed è sempre buona".
Falco Volante


Foto di Edward S Curtis


giovedì 22 novembre 2012

Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo,
sul fondo si compone un riflesso,
ed è l'anima che si lascia intravvedere.

(Steve McCurry)

UN' INTIMA CONVINZIONE


Non mi riesce, a proposito dell’ansia di “rinascimento” pensare a noi, esseri umani, e al nostro rapporto con Dio senza scinderlo dal rapporto che ci lega con la morte.

E’ proprio con il consolidamento del pensiero ‘umanista’ che avviene la prima vera frattura fra l’uomo e la propria morte. Certamente certi cambiamenti sono lentissimi, ma c’è sempre un inizio e un perché.

Se prendiamo gli antichi romanzi medioevali si capisce che non è contemplata possibilità diversa del morire senza averne avuto sentore o preavviso.
La morte improvvisa (così non soffro…) non solo non era contemplata, ma anzi era vista come una morte terribile al pari della peste.

L’avviso era un’intima convinzione e non certo una premonizione magica.
Era cosa molto semplice e non si trattava di piétas cristiana bensì più semplicemente di un riconoscimento spontaneo.
Ecco, il riconoscimento spontaneo della vita e del suo accadere è materia a noi tanto estranea.

Possediamo tutto, ma non ci rimane niente. Non siamo nemmeno capaci di dimenticare il mondo e di pensare a Dio anche per recitare il mea culpa.

Certo che è difficile credere, lasciarsi sopraffare dalla fortezza della fede… come abbandonarsi tra le braccia dell’innamorato. “Dio! Hai richiamato Lazzaro dai morti, salvato Daniele dai leoni: ti prego, salva anche me dai miei peccati!”

Al nostro tempo non siamo confortati nemmeno dalla naturalità della morte: quel sonno misterioso dell’essere indivisibile che attende il giorno della resurrezione, non c’e più, per davvero.

La solitudine dell’uomo davanti a questo momento è lo spazio in cui questi prende coscienza della sua individualità.
La morte, in questo tempo è in mano ai medici anestesisti: si nega la morte per salvaguardare la felicità ponendo grande attenzione alle futilità perché mettere in discussione la felicità equivale a compiere un peccato contro la felicità stessa.

… E in una società che si alimenta di ‘felicità’, dove è un dovere morale essere felici e dove la società medesima ha l’obbligo sociale di contribuire alla felicità collettiva evitando perciò ogni causa di tristezza o noia, costringendoci un po’ tutti a darci l’aria felice anche se si tocca il fondo della desolazione: si capisce che diventa molto difficile credere.

Credere, fatica quotidiana per coltivare il dettaglio che non ti faccia gettare la spugna e non tanto o solamente per tentazione a cedere a facili soluzioni o lusinghe, ma perchè nascere e ri-nascere è molto oneroso; e può starci anche il non riuscirci, il perdersi, il sentirsi svuotati di senso.

Ma la convinzione che si possa ritrovare un significato autentico della nostra esistenza è un atto di fede di grande respiro.

E serenità.


Silvia

sabato 17 novembre 2012

NEL NOME DEL PADRE


“Papà sta morendo! Corri!”

Così,
mi sono messa a correre, correre, correre. E mentre correvo mi domandavo che senso potesse avere in quel momento correre: Per arrivare per prima? E dove? Perchè,  cosa sarebbe cambiato?
Però sono arrivata davvero per prima e per prima ho capito che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio in quel posto che tante volte avevo raggiunto trapassando pioppeti e campi di riso; perchè era là che andavo ormai da tempo infinito, in un ospedale circondato da pioppeti  e campi di riso. Un paesaggio dolcissimo, che ho attaversato in tutte le stagioni. In quei viaggi tutta la mia vita alla ricerca di un epilogo di una vita; intimità parole, silenzi, sorrisi, commozioni, addii, volontà.
Ricordo però, che in procinto dell’approssimarsi  dell’autunno ho avuto un fremito di tristezza. Perchè l’autunno, magnifica stagione dai colori accesi e appassionati, rappresenta anche il tempo del mutamento e della trasformazione, della calma e del freddo.  E’  un tempo di attesa:  le foglie vecchie cadono per lasciare spazio al riposo necessario al generarsi delle nuove gemme. Il vecchio lascia il posto al nuovo con passo fermo e inesorabile. Da che mondo è mondo.  
Era un presagio che stava trovando il suo compimento. Il tempo era scaduto e non rimaneva che una manciata di minuti per correre incontro a un destino che si era espresso senza più appello.
“Va bene, ho capito. Spiegate voi a mia madre, noi la sosterremo”.
“Quanto tempo ci vorrà”?
Che domanda. Avevo corso così tanto per contare una manciata di minuti e ora avevo addirittura fretta? ma il tempo non vale sempre uguale: l’attimo che ci separa dall’alzare gli occhi al cielo sono interminabili e l’ovvio silente respiro diventa un sibilo eterno che sembra scandire tutte le parole che in vita mai si ha avuto l’ardire di pronunciare.
“Padre, siamo qui per te, tutto è per te, il calore del nostro corpo, la dolcezza dei nostri baci e delle nostre lacrime, le carezze delle nostre mani che hanno la stessa foggia delle tue”
Perchè nel tuo nome è la nostra origine.

Autunno 2012


mercoledì 14 novembre 2012

INFINITAMENTE


Reduce da un periodo faticosissimo sotto diversi punti di vista.

Sì sono una reduce, una di quelle che ad un certo punto si guarda intorno e si dice: “dov’eravamo rimasti? Cosa è successo?

Una di quelle che ad un certo punto intercetta lo specchio e si spaventa;
una di quelle che butterebbe la sveglia nel canale;
una di quelle che si chiede: “ma come fanno gli altri”?

 
…Una di quelle che si sente libera di sentirsi vera, stanca, innamorata, addolorata. In una parola: infinitamente donna.

sabato 10 novembre 2012

ACQUA VIVA


Chi non desidera venire amato alzi la mano.

Ummh…che silenzio!

Già perché non esiste essere vivente insensibile alle attenzioni dell’amore: persino i fiori si fanno più belli se si sentono amati e ben guardati. Figurarsi un essere umano con tutti i suoi vuoti, le sue incertezze, i suoi bisogni di rassicurazione!
Sentirsi amati dà valore alla nostra esistenza; ci convince che non siamo soli; lusinga il nostro bisogno di conferme e, forse, dà sollievo al fuoco ardente che alimenta la nostra vanità.
E allora, come in preda a una fame irresistibile alla quale sembriamo incapaci di resistere saremmo disposti a chissà cosa pur di farci amare, sino ad annullarci per rifletterci nell’amato come un eterno e prepotente Narciso. “ Più mi sembra di venir amato, più autentica è la mia esistenza”? E’ questa un’equazione che ha credito presso la nostra vita?

Ma... siamo capaci oltre che a cercare di farci amare, di LASCIARCI amare?

Che bella domanda eh? Forse non basta una vita per rispondere, tutti presi come siamo a rincorrere la conferma amorosa…

Lasciarsi amare senza figure prefissate.
Lasciarci amare rinunciando a risposte a noi gradite, preferite, sognate, attese.
Lasciarci amare accettando anche i silenzi e la lontananza, la rinuncia.
Lasciarci amare mettendo in conto che questo amore possa attraversare linguaggi anche per noi indecifrabili, inediti e inattesi.

E’ facile cadere nel tranello del “tu non mi ami abbastanza” perché nello specchio non riconosciamo la nostra immagine riflessa. E’ quasi banale riconoscere in una delusione amorosa l’altrui incapacità a sintonizzarsi sulla nostra fame.

E noi? Siamo sintonizzati sull’amore altrui, siamo così capaci da riconoscerlo?
Cogliamo la possibilità di tacere all’amore che ci è offerto?
Abbiamo la capacità (forse sovrumana) di abbandonarci all’umiltà dell’ascolto?

Quanto amore abbiamo calpestato perché incapaci di riconoscere il sentiero…?
Quanto amore abbiamo ignorato perché mimetizzato nelle pieghe della vita…?
Quanto amore abbiamo smarrito perché il nostro sguardo si era fissato su immagini così lontane e offuscate da impedirci di vedere…come immersi in una perenne nebbia a renderci sagoma eterea che cerca di soddisfare il proprio illusorio bisogno si rassicurazione.

Forse, quel giorno che riusciremo a resistere alla tentazione di cercare e saremo capaci di ignorare quello stagno immobile che non potrà mai dissetarci, forse, saremo capaci di trovare la fonte di acqua viva che tanto ci è cara.


Silvia

venerdì 9 novembre 2012

NON SI CAMBIA


“la vita ti cambia” disse un amico in procinto di un salto nel buio.
No, io non credo che la vita ci cambi.
La vita io la sento come  mutamento continuo di un “IO”  che esiste già e che va elaborato. Noi non cambiamo mai se siamo stronzi stronzi rimarremo...sarà solo questione di aspettare l'occasione buona per manifestarci...

Ma forse mi sbaglio.

giovedì 8 novembre 2012

IL SOLE


Non so se capita anche a voi.
Periodi faticosi soprattutto dal punto di vista emotivo; sentire il desiderio di raccontarsi e aprire la diga delle proprie emozioni, per condividere le fatiche, le tristezze che -anche se passeggere- tolgono il sonno.
Desiderio di confronto anche solo per sapere che non capita solo a te, di sentirti così.
Avere voglia di fare tutto ciò e sentirti rispondere:
"Ma come?! Non è possibile! Tu che sei il sole..."

 ...Come se al sole fosse impedito di offuscarsi.




ADDIO


Quando si intreccia una relazione particolrmente intensa si ha voglia di lasciare segno di sè.
Parole, pensieri gesti parlano di noi e del nostro desiderio dell'altro.

Quando vediamo un paesaggio meraviglioso pensiamo all'amato che meraviglioso al nostro cuore pare. Vorremmo coprirlo di doni e di baci, forse.

Il nostro amore è già di per sè un dono. Ma quando l'amore finisce, cosa succede? rimane solo il rancore? Resta il rimpianto? Raccogliamo cocci di cuori infranti?
Cosa succede?
Come lasciare memoria di sé?
C'è un dono che si può lasciare per dirsi: "grazie per questo amore, comunque sia andata sarai sempre stato sempre un dono."

Chissà se ne siamo capaci


sabato 3 novembre 2012

PAROLA DI YORICK FIGLIO DI YORICK


..."Le donne sono nate apposta per fare l'opposizione; e hanno un talento specialissimo per disobbedire, per resistere agli ordini, per ribellarsi a ogni genere di supremazia. E adoperando, secondo i casi, la forza d'inerzia o quuella d'impulsione. Un po' si abbandonano, di adagiano, si sdraiano nell'immobilità più sfiaccolata; e lascian dire, e lascian fare, quasi rimanessero ad un tratto in uno stato di sonnolenza, che impedisse loro di darsi le mani d'attorno, e da cui altro non le toglie se non pigliandole di peso e trascinandole all'azione."... Così parlò Yorick figlio di Yorick: Ma sarà vero che le donne sono così?